Le origini della viticoltura in Toscana risalgono al tempo degli Etruschi, anche se dei vini della Toscana si inizia a scrivere diffusamente solo in epoca medioevale, quando il vino diventò prodotto essenziale per il commercio: risale infatti al 1282 la fondazione della corporazione dell’Arte dei Vinattieri.
Del vino Chianti si parlò per la prima volta nel 1300, quando fu fondata la “Lega del Chianti”, sotto la giurisdizione di Firenze, e fu creato come emblema il celebre “Gallo nero”, ancora oggi simbolo dei vini del Chianti Classico. Nel 1700 questo vino era prevalentemente prodotto con Canaiolo Nero al quale si aggiungeva una piccola quantità di Sangiovese, Mammolo e Marzemino.
Nel 1872 il Barone Bettino Ricasoli formulò la sua famosa ricetta ancora oggi utilizzata da molti produttori. La ricetta di Ricasoli impiegava prevalentemente l’uva Sangiovese, per dare al Chianti vigore e profumi, aggiungendo Canaiolo Nero per ammorbidire l’acidità e l’astringenza del Sangiovese. La Malvasia era consigliata solo per i vini da consumare giovani. Il Trebbiano Toscano non rientrava dunque nella “ricetta” originale del Barone.
Verso gli anni 1960 alcuni produttori come il Marchese Incisa della Rocchetta decisero di dare impulso all’enologia toscana creando dei vini di corpo prodotti con uve internazionali e maturati in barrique. Vista la particolare tecnica di vinificazione, la struttura (e il costo) di questi vini, essi vennero quasi subito soprannominati “Supertuscans“. All’epoca questi vini risultavano totalmente estranei all’enologia locale, per cui non trovarono collocazione in alcuna denominazione protetta e vennero classificati come “vini da tavola”. Attualmente al Cabernet Sauvignon e Merlot, nell’assemblaggio di molti di questi vini rientra anche il Sangiovese, combinazione oggi frequente in numerosi vini della Toscana.